PARADOXA cos’è un esercizio spirituale

 

 

 

 

 

PARADOXA  raccoglie alcuni scritti di artisti, amici e studiosi di varie discipline che, rispondendo alla domanda cos’è un esercizio spirituale, hanno contribuito alla mia ricerca artistica intesa come processo, assemblaggio dati in continuo divenire, opera partecipata.

Una collana di dodici interventi che ha accompagnato  per dodici mesi l’installazione multimediale Spiritual Exercises_Racconti Brevi, presso la Galleria Sabato Angiero Arte di Saviano-Napoli, in precedenza Operain Rete  https://www.gianfrancodalonzo.net/SpiritualExercises/index.php .

Ringrazio, oltre agli altri, lo studioso Marco Vannini, massimo esperto di Maister Eckart, che ha curato la traduzione e la pubblicazione del potente scritto Paradoxa, la cui lettura mi ha introdotto alla figura del mistico Sebastian Franck, sostenendo e incoraggiando alcuni aspetti del mio recente lavoro.

Il lavoro ha già una sua documentazione web sul sito della galleria https://www.sabatoangieroarte.com/spiritual_exercises_gianfranco_d_alonzo_garibaldi-a11030, ma in questa pagina tenterò di promuovere una rilettura dei vari interventi anche nella loro presenza nella pubblicazione a tiratura limitata ENTER che raccoglie l’intero progetto installativo.

 

 

 

1

 

ESERCIZIO

 

LUCA QUARTANA per LA CASA DEL PADRE

 

 

2

 

ELOGIO DEL TEMPO DISSIPATO

 

«Non ho proprio niente da dire. Ma voglio dirlo lo stesso»
Guido Anselmi (Marcello Mastroianni), in Federico Fellini, 8½ ,1963

 

Stare in una stanza e gettare lo sguardo, dal basso verso l’alto, su una finestra a bocca di lupo dalla quale entra un triangolo d luce.

Fissarla e riprenderla finché l’immagine trema moltiplicandosi in un trittico apparente.

Lasciare tremolare l’immagine come quando l’occhio fissa una cosa, tenendo le palpebre semichiuse, e sulla retina scaturiscono effetti ottici di disturbo.

Accompagnare le sfocature che mescolano luce e ombre con un canto monotono, privo di sviluppi. Non è un’operazione di montaggio per costruire un racconto ma un lasciarsi andare alla successione provocata dalle cose. Scoprirle, nell’evento della loro apparizione, senza sottometterle alla normalizzazione dell’interpretazione.

Non c’è sviluppo. È il tempo dell’apparizione di ciò che già esiste e che per un attimo si rende percepibile perché cattura i sensi. Crea connessioni generate dalla morfologia della finestra e dalla bocca del lupo. La cosa si anima.

È il tempo dissipato: gettato – come lo sguardo – qua e là, senza scopo. È il tempo dello zapping. Il tempo non pedagogico. Il tempo perso, quello che, per grazia del Caso, sfugge alla sequenza delle decisioni. Il tempo nel quale chi osserva si fa complemento d’agente per favorire relazioni che accadono senza volerlo ma neanche opponendosi a che ciò avvenga.

Le cose che appaiono deviano dall’attenzione che governa alla dissipazione che disperde e connette. Le cose diventano stargates che si dischiudono senza preavviso.

Abbandonarsi allo zapping non è un’operazione costruttiva. Non è formativa. Non è antagonista. Lo zapping produce un flusso rovinistico di cose a bassa definizione, fatte di immagini e suoni che si lasciano scoprire ma senza rivelare nulla se non il meccanismo stesso: pura potenzialità senza effetto.

Dissipare il tempo non è liberarlo: non c’è progetto e non c’è salvezza. Immersione involontaria nella realtà come campo di fenomeni sensibili, lontana dai tentavi sforzati del linguaggio di costruire approssimazioni da condividere.

Il tempo dissipato svela il suo non-senso, che libera dal dover dare senso, perché non rivela nessun fondamento o matrice. Non è effetto di deduzione ma poichéfavorisce l’esperienza dell’apparizione, il tempo dissipato è l’equivalente di un buco-nero che rallenta lo scorrere del tempo stesso fino quasi ad annullarlo.  La visione non allinea, chiarendole, sequenze di fatti. Lo zapping dello sguardo e delle associazioni è ritmo effimero, irregolare, che si spegne da solo per riaccendersi senza atto di volontà.

La dissipazione è l’esercizio involontario che annulla il tempo della Storia fatto di rabbia e di appartenenze. Perciò alla dissipazione vorrebbe fare resistenza la supponente potenza della volontà costruttiva con il miraggio dei suoi traguardi da raggiungere.

Fissare le cose fino a non vederle più, invece, fino a quando esse diventano una sola cosa con la retina, è l’esercizio della visione che inventa lo Spirito.

La visione diventa la metamorfosi fluente di cose in fantasmagorie senza tempo, che prende il comando della nostra percezione e la stravolge quietamente. È una forza d’inerzia che usa tutto come pretesto: Sant’Ignazio, la rilettura di Roland Barthes tra Sade e Loyola, musiche scoperte o suggerite… i riferimenti più ovvi o più impensabili.

Tutto è pre-testo: al di qua del testo che invece vorrebbe costruire architetture stabili, ordini condivisibili di senso. Il pre-testo è ornamento (interior design – arabesco delle interiora), un giro del discorso che dice senza sostenere nulla, perché l’argomento è sempre un altro, non dicibile perché non riducibile ad una forma stabile che la visione, in se, esclude.

Il pre-testo è puro atto di esistenza. È la ferita. Intrattenimento. Attesa. Intensità senza scopo: esercizio spirituale.

 

FRANCO SPERONI per IL RESPIRO DEL LUPO-PASSAGGI

 

 

3

 

 

SICCO VESTIGIO

 

Non mi riuscì di strizzare nemmeno una lacrima, quando feci gli Esercizi spirituali proprio in una casa di gesuiti. Eppure, la promessa più suggestiva era proprio quella: il dono delle lacrime. Conoscevo qualcuno che si era disidratato per una notte e un giorno, e ne diceva cose da far invidia. Ma forse perché lui si era potuto concedere tutto il mese ignaziano; io no. In compenso mi ero letto, oltre alla Ratio Studiorum, il testo degli Ejercicios Espirituales, naturalmente in spagnolo perché ho sempre diffidato dalle traduzioni. E avevo intravisto la possibilità di concentrare le esperienze di un mese in un tratto di tempo più modesto.

Eccomi, dunque, sulle colline a nord di Firenze, al portone di quella villa di cui tanto si favoleggiava. Già, perché pare che un pezzo da novanta della Massoneria avesse in punto di morte consegnato l’archivio della loggia a un Padre – che altro se non gesuita? – e che il tutto fosse guardato con ogni mezzo di difesa, compresi dei cani cattivissimi. Che però dovevano essere invisibili, perché non li ho visti né sentiti. Varcai dunque il portone già pronto ad effondere le mie lacrime come la Maddalena ai piedi di Gesù; dico subito che ne uscii sicco vestigio.

Ma qual era la ragione che mi spingeva a quella pulsantiera? Avevo diciott’anni, appena passata la Maturità, e tutti i compagni e compagne della Terza A del Galileo erano già in coda per le diverse Segreterie di Facoltà; la maggior parte in cerca di formazione scientifica, forse quella che al Classico era stata impartita con maggior sobrietà. Io avevo bisogno di conoscermi meglio, e uno scorticamento più radicale delle prime due settimane degli Ejercicios non esiste al mondo. Chissà: magari il mio futuro poteva essere proprio lì. Il mio maestro spirituale mi aveva regalato le Opere di San Giovanni della Croce; la Salita del Monte Carmelo poteva anche essere una sfida affascinante.

Più di sessant’anni sono passati da quella settimana e non ne ho serbato che due ricordi. Uno, dalla finestra che guardava il giardino, il passeggio di un ragazzo di cui ricordo anche il nome (doveva essere triestino) che passava di fiore in fiore contemplando la forma e il profumo di ogni capolavoro botanico del Logos. L’altro, il fondo della cassetta della scrivania in cui vari predecessori avevano graffito l’entusiasmo, il rapimento, la decisione. Qualcosa devo averla scritta anche io, se anni dopo un prete del mio paese si disse commosso dal mio empito spirituale.

Ma evidentemente doveva essere stata una eccitazione passeggera. E, a riprova, la tempesta di lacrime non si era vista comparire all’orizzonte. Uscii alla fine della settimana dal compendio di Esercizi, con l’intesa che ci si sarebbe rivisti. Ma si sapeva che non era vero.

 

 

MARCO SQUARCINI per VESTITO DA DIO

 

 

4

 

ESERCIZI SPIRITUALI

 

Il sintagma “esercizi spirituali” è indissolubilmente legato all’omonimo libretto, redatto da Sant’ Ignazio di Loyola nel XVI secolo. Il fondatore della Compagnia di Gesù, che era un militare, conosceva bene l’importanza dell’addestramento, ai fini della disciplina e del comportamento dei soldati in battaglia – del resto, la stessa parola “esercito” non è altro che il participio passato del verbo latino exercere, esercitare. Notiamo, di passaggio, che un’altra importantissima parola del linguaggio spirituale, ovvero “ascesi”, viene anch’essa dall’ambito fisico, dei ginnasi e delle palestre in cui i giovani greci si esercitavano per il combattimento, ed infatti significa anch’essa, propriamente, “esercizio”.

I celebri Esercizi spirituali di Sant’Ignazio di Loyola, compiuti da generazioni di fedeli e tuttora prescritti annualmente ai gesuiti per una settimana, consistono essenzialmente in una disciplina del comportamento e degli affetti, per ordinare l’anima verso la meditazione e la contemplazione delle vicende della vita e della Passione di Cristo. Non si tratta dunque di una speculazione astratta, di tipo diciamo così filosofico: infatti in essi ha gran parte l’immaginazione, come quella che più di ogni altra tocca le facoltà dell’anima in rapporto con i sensi. In parallelo, è ben noto che i gesuiti hanno molto pregiato ed incrementato le arti, sia quelle visive come pittura e scultura, sia la musica, sia il teatro, proprio come strumenti adatti a com-muovere l’anima.

Come ha evidenziato Pierre Hadot, in realtà la nozione di esercizi spirituali proviene dalla filosofia antica, di cui, fin dall’origine, il cristianesimo ha incorporato elementi, integrando anche nella vita cristiana gli esercizi spirituali filosofici.

L’esercizio filosofico per eccellenza era il distacco dell’anima dal corpo, secondo le parole di Platone nel Fedone: «Coloro che filosofano nel senso vero del termine, si esercitano a morire», e l’eco di queste parole risuona, ancora nel VII secolo, in Massimo il Confessore: «In conformità alla filosofia di Cristo, facciamo della nostra vita un esercizio di morte».

Nel medioevo, con le università, la filosofia diventa un’attività meramente teorica ed astratta e il suo insegnamento non si rivolge più a uomini che intende formare perché siano uomini, ma a specialisti che poi preparino altri specialisti – un fenomeno che perdura attualmente – però la concezione della filosofia come sapienza vissuta, modo di vivere secondo ragione, continua nel monachesimo,  dove si ritrovano gli esercizi stoici o platonici dell’ attenzione a sé, della meditazione, dell’esame di coscienza, dell’esercizio della morte, e dove si trova anche il valore attribuito alla tranquillità dell’anima e all’impassibilità.

Gli esercizi spirituali antichi non fanno più parte della filosofia, ma l’eredità stoica e neoplatonica si prolunga nella mistica cristiana medievale, specialmente in quella dei domenicani renani, come Meister Eckhart, fino a sfociare così, seppur profondamente mutata, negli Esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola.

 

 

MARCO VANNINI per PARO DIE

 

 

5

 

DI OGNI FOSSO UN’ALTURA

 

 

Discepole di acqua e sale

Da lontani tornanti, in distratte file, si avvicinano per raggiungere le sue parole

Discepole di discepoli di conoscenze semplici

Discepoli di vento e pioggia, di ramino ed epe gonfie di manna

Nessuna vendetta nell’oliva di infiniti verdi

Nel dettato sicuro della disciplina per carni deboli, la libertà è la sola terapia: guarigione

La caverna è in abbandono, al monte si sale per pregare, ma la misericordia fa di ogni fosso un’altura, di ogni muto una bocca parlante

Andate a dire ciò che l’uomo non vuole udire, che qualcosa di buono è accaduto: Ci ha amati per prima

Recitate con voce solenne il quotidiano elenco della gratitudine, perdonate come siete stati perdonati

Discepole di sabbia e pietre, di piccoli esercizi da ricordare.

Risate e rame curvo, pronto per lavare piedi insanguinati, di fatica e di peccato

Nessuna paura immolata al posto del presente: solo i suoi occhi

Discepoli di arance e limoni

Dai ricordi e dai legami nessun prefisso che dia vita, nessun idolo da adorare

Affannati per la corsa, scappando da città in città, hanno spezzato il Pane del Cielo

Come Abramo con suo padre Terach, torni al Diavolo il denaro

 

 

SALVATORE MANZI per IL GIARDINO INTERIORE

 

 

6

 

FRUTTO STRANO

Quando ho iniziato a prendere appunti per scrivere questo intervento, breve ma dal tema impegnativo, non ho potuto fare a meno di ripensare ai momenti in cui ho vissuto inconsapevolmente l’esperienza dell’esercizio spirituale.

Da bambino, non ancora adolescente, molti dei pomeriggi invernali li passavo nella chiesa del mio paese di montagna dove il più delle volte si svolgevano novene e recite del rosario.  Sui banchi di sinistra del corridoio della navata centrale sedevano le donne: corpi infagottati in cappotti di lana pesante; teste fasciate da foulard annodati sotto il mento; rosari che, seme dopo seme, scorrevano ritmicamente tra dita nodose e io, solo, tra i banchi dell’altra parte del corridoio, che mi immergevo nella preghiera intonata dalle loro voci assecondando con il mio corpo il ritmo di quel fluire inesorabile.

E contavo le pause: le appuntavo sul fogliame dei capitelli e lungo i glifi delle paraste; sui pilastrini della balaustra che ci separava dal presbiterio; sui candelabri di diversa foggia e fioritura che infestavano la scena superiore dell’altare; sui particolari dei grandi disegni di marmo intarsiato del pavimento; sui panni delle statue e sulle tende inarcate da corde e nappe dalle cui pieghe i drappeggi restituivano il profumo d’incenso e l’odore di cera paraffina assorbite nel tempo.

C’era anche la noia ma, come il freddo, non la pativo, sentivo solo che in quei momenti accadeva qualcosa di importante; sentivo che dovevo pattinare su quelle piste, accogliere quelle invocazioni ripetute. Quelle domande e quelle risposte, così assertive, si prestavano a fare da corrimano a un cammino che, forse, già da allora annunciava l’esito singolare che avrebbe prodotto: l’annuncio del frutto strano.

Inspiegabilmente, a pensarci bene, questi ricordi riaffioravano anche durante le lunghe attese nei corridoi degli ambulatori medici: visite, controlli, discussioni, analisi, interviste, indagini che, tappa dopo tappa, avrebbero trasformato il mio corpo, non solo nel suo aspetto esteriore.

Non ricordo di avere visto e odorato molte rose da bambino, in quei luoghi. Sarà stato per via della neve e del gelo che persistevano dall’autunno alla primavera, oppure per la rarità di giardini ai quali venivano preferiti gli orti.  Non erano neppure i fiori che abitualmente incontravamo durante le escursioni nei boschi impervi, la caccia ai ranocchi su e giù per il torrente, le camminate per i campi brulli o macchiati di ginestre alle pendici della grande montagna. Proprio non riuscivo ad afferrare il significato di quella invocazione – Rosa Mistica! – che ciclicamente, e puntualmente secondo i miei dati, riemergeva dal mormorio sereno che senza sosta risuonava tra le volte della navata. Poteva essere l’unica immagine accessibile tra quelle che formavano il ciclo della litania ma, allora come adesso, l’unione di quelle due parole è ancora un frutto strano.

 

ZELINDA DELLI ANGELI per TAUTOLOGIE DI GENERE

 

 

7

 

IN ABSENTIA

 

 

 

 

 

per NESSUN DIO QUASSÚ

 

 

8

 

UNO SGUARDO DAL CIELO

 

Uno sguardo dal cielo in un tempo senza oggi né domani.  Nella fissità del bagliore del cielo sono scritte le ore che daranno significato al tempo d’oggi.  Molteplici sono le strade che ci conducono al futuro così come innumerevoli sono quelle che possiamo percorrere per ricostruire il passato. Esiste però una asimmetria fra l’oggi e il domani, l’avvenire reca con sé il fattore creatore che incide sulla realtà, un fattore di cui il passato sembra essere interamente privo.  Uno sguardo dal cielo ci indica la creazione dell’attimo che aspettiamo, in cui ci proiettiamo. Nel nostro fluttuare nel labirinto pluridimensionale di possibilità che ci separano dal domani, nel riproporre i pensieri dell’oggi come nel Finale di partita di Beckett intravediamo la possibilità del vero che non può essere totalmente compreso, tentiamo di rappresentare l’assoluta mancanza di senso e l’altrettanto assoluta necessità di trovarla. L’unico punto fermo, la sola certezza è in quello sguardo; dietro la vacuità dei discorsi, delle situazioni esiste lo sguardo, in un’atmosfera di inesistenza. Quello sguardo esiste senza una ragione ma esiste. Assurdo non è che la vita non abbia senso, assurdo non è l’infinita vanità del tutto; assurdo è che in questa insensatezza, in questa vanità, qualcosa esista.  Che nel mare del nulla, che in questo cielo abbagliante qualcosa si ostini ad essere: questo è assurdo. Da domani questo presente sarà meno assurdo di oggi; eppure, quello sguardo più che i nostri pensieri incede verso questo punto che da domani possiamo in parte comprendere come sostanza stagnante del ricordo.

 

 

CLAUDIO CATALANO per UNO SGUARDO DAL CIELO

 

 

 

9

 

LA DIMENSIONE DELLO SPIRITO

 

Che cos’è lo spirito? Che cos’è una esperienza spirituale? È ancora possibile, attenendosi all’attuale livello di conoscenze scientifiche e vivendo in un contesto tecnologico avanzato, parlare – addirittura! – di “esercizi spirituali”? Un caro amico, nonché celebre curatore d’arte contemporanea – peraltro da me assai stimato –, qualche anno fa mi diceva: «Stefano, ma lo spirito? Ma dai, lo spirito non esiste!». Il suo atteggiamento era scherzoso e bonario – per carità! -, ma denunciava comunque un intento provocatorio, ed anche la più amichevole delle provocazioni implica un quoziente di divergenza rispetto al punto di vista del proprio interlocutore.

Cattolico per origine – i suoi primi stimoli vanno ricondotti alla ancora assai radicata religiosità popolare di un paesino abruzzese come Roio del Sangro, dove nasce e trascorre i suoi primi anni di vita, e parliamo degli anni sessanta -, ma non altrettanto per credenze e pratiche, Gianfranco D’Alonzo, fin dagli inizi del suo percorso artistico, si interroga su certi temi attraverso le molteplici forme dei linguaggi delle arti visive, a partire dalla costatazione che gran parte delle avanguardie e neoavanguardie novecentesche hanno a che fare non poco con i territori dello spirito, per quanto la stragrande maggioranza delle letture che si sono fornite di esse non abbiano mai posto in primo piano tale aspetto.

Forte di un titolo ignaziano, per quanto, come, sulla scorta di Pierre Hadot, rileva Marco Vannini – tra i maggiori studiosi di mistica viventi, nonché costante riferimento teorico per D’Alonzo -, la nozione di esercizi spirituali provenga dalla filosofia antica, l’artista abruzzese sembra intendere lo sguardo, e più in generale la percezione, dal punto di vista del soggetto più che dell’oggetto. In altre parole, mostrandoci oggetti grandi e piccoli, naturali e artificiali, statici e in movimento e proponendoci il silenzio ed il suono, il rumore e la musica, pare suggerirci che ciò che fa la differenza è il nostro approcciare alle cose e non le cose stesse. Esse vivono innanzi tutto nella loro materialità, ma è attraverso la trascendenza di essa che possiamo cogliere – non in virtù della singola percezione, ma di una somma di percezioni che si sedimentano e interagiscono, più recenti e più antiche, in un processo imprevedibile – gli universi dell’invisibile. Di ciò che non appare primariamente ai sensi, eppure sappiamo essere non solo esistente, ma persino essenziale, e più andiamo oltre nel cammino e più lo avvertiamo.

 

STEFANO TACCONE per ROCCIA

 

 

10

 

…RESPIRARE L’ASCOLTO

 

mi dispongo entro i segni

vedo esplodere la polvere

sulle tende aspira il nulla

sul foglio raspa lo sguardo

ora indocile

oltrepassa la vista

diviene quarzo

blu il suo filtro sbilancia

l’aria

la luce

poi è voce che sparge

su nessuna soluzione

Mi risveglio

imbalsamati i calendari

vibrano colori nelle lacrime

Fuori dal mondo la gioia

luccica i margini

sono estati d’acquerelli

diviene estasi il sottile inizio

che solfeggia sulle note

Nel sogno il ticchettio

sparge il cielo sull’acqua

consapevole d’essere senza peso

respira l’attimo

Nella stanza ha schiuso

l’ultima favola

senza fondo il corpo

è dipinto

Come nessuno

ha visto mai …

 

ALFONSINA CATERINO per ASCENSIONI CARTESIANE

 

 

11

 

LE CONFIDENZE DI PENNA

 

…vorrei essere come uno speaker di radio tre,

mi sussurrò all’orecchio…

 

 

SAVERIO MAGGIO    per     GUARDAMI CAMBIARE MENTRE CERCO UN POSTO MIGLIORE

 

 

 

12

 

DISJECTA MEMBRA

 

Il paradosso non è una concessione, ma una  «categoria»: una determinazione ontologica che  esprime il rapporto tra uno spirito esistente, conoscente, e la verità eterna. S. Kierkegaard, Diario, VIII, A 11

 

Gli Esercizi Spirituali di Gianfranco D’Alonzo si collocano a un dipresso dal Metodo di meditazione di Georges Bataille e ne condividono la radicalità. Iscritti in un cosmo bruciato dal fuoco della morte di Dio, il loro darsi, il loro accadere, si realizza in assenza di religione, ponendosi come paradosso. Quindi, dalla posizione kierkegaardiana, che interpreta la religione cristiana come scandalo (per gli ebrei) e paradosso (per i greci), eccoci precipitati in una vettorialità inedita, ove la trascendenza è segno essa stessa di una impasse nella struttura che veicola l’esperienza.

Nel farsi esercizio, l’esperienza si pone qui come base per uno yoga a-metafisico, simile – eppure diverso – a quello auspicato da Bataille. Quel che D’Alonzo propone, in opposizione ad ogni gnoseologia, è il passaggio ad una nuova metodologia dell’esperienza.

Una spiritualità senza religione, ho detto. Ed ecco il profilo abissale di questa affermazione: di che si può far preghiera, dopo la morte di Dio? Che preghiera può esserci nell’universo dell’a-teologia? Bataille proponeva un’apostata Gloria, in cui gli angeli, nel sommo dei cieli, inneggiano ad un soggetto che si riscopre sovrano (Gloria in excelsis mihi) nell’eccesso.

D’Alonzo, invece, è guidato da una diversa pietas per l’esistente. Un lasciarsi andare, come lo chiama Franco Speroni, che non sottostà a nessuna logica di dominio dell’evento perché rifiuta di ordinare in racconto il succedersi delle cose, e piuttosto le celebra nella polifonia di un canto che richiama all’essenza della preghiera come raccoglimento.

Ed ecco i due movimenti complementari che guidano lo spettatore all’interno di questa insolita, rarefatta performance, fatta di giardini interiori, tautologie di genere, parodie e ascensioni cartesiane, dove la “Casa del padre” è ipotesi angolare, punto di (non) ritorno, non luogo di memorie ma rarefazione del vissuto: dissipazione e raccoglimento.

Come dissipazione, le 12+2 cantiche degli Esercizi abituano alla reiterazione, all’abbandono, alla beatitudine di un lasciarsi andare. Cantiche. Meglio, contro-cantiche. Una ogni mese, per un anno intero. Alla maniera di Cenne de la Chitarra, la dissipazione non induce a nessun progresso: lascia che il tempo si perda.

Sono queste le disjecta membra che D’Alonzo offre alla nostra visione: non come ordine del discorso, ragione o logica dell’accadere – ma piuttosto come panorama, contemplazione di rovine, visione d’insieme offerta ad un soggetto raccolto nell’esperienza del pregare.

 

MARCELLO GALLUCCI  per  I AM SORRY

 

 

 

Gli autori

 

 

Luca Quartana

è nato nel 1958 a Milano, città in cui vive e lavora. Dalla fine degli anni Ottanta indaga il tema dello spazio e della sua condivisione nelle forme della relazione interpersonale. Nella sua ricerca si intrecciano diversi piani di lavoro, dalle installazioni (Ut pictura poesis,1989; Chi, Premio Marino Marini alla XLV Biennale di Venezia 1993) alle performances (Treazione, 1993, Addio 2016), dalla pratica di una scrittura visuale sistematicamente dilatata nella misura/dimensione  ambientale (Parolapersona, 1993; Dia 1 e Dia 2, 1994), dai libri (Le peintre et sa femme, 1989; Solo sesso, 2005 e Scripta volant verba manent, 2005) al laboratorio collettivo (Insignificazione, 1995) e internet (www.lucaquartana.it, 2000). Nel 2016 ha prodotto e realizzato la mostra Addio presso Assab One a Milano. Attualmente collabora al Progetto Casina avviato nel 1991 da Antonella Ortelli, Carla Vendrami, e Silvia Truppi, presso la Sez. Femminile della Casa Circondariale di San Vittore a Milano.

 

 

Franco Speroni

storico delle arti, insegna all’Accademia di Belle Arti di Roma.

 

 

Marco Squarcini

risale felicemente alla metà del secolo scorso, e si è costruito incrociando eventi, opportunità, maestri e idee che non esistono più. Ha condiviso le sue esperienze spirituali con parecchia gente. Dopodiché, fin quando ha potuto, si è occupato di comunicazione d’impresa.

 

 

Marco Vannini

(1948), filosofo, ha curato la traduzione italiana dell’intera opera, tedesca e latina, di Meister Eckhart, riportando alla luce anche molti altri importanti autori mistici, cui ha dedicato numerosi studi. Tra i suoi ultimi lavori, ricordiamo: L’ Anticristo. Storia e mito (2014); Storia della mistica occidentale (2015); Mistica, psicologia, teologia (2019); Introduzione alla mistica (2021); Beati pauperes spiritu. Attualità di Meister Eckhart (2022).  Dirige la Rivista «Mistica e Filosofia». www.marcovannini.it .

 

 

Salvatore Manzi

(Napoli 1975), artista visivo e Pastore Evangelico, insegna all’Accademia di Belle Arti di Lecce. Interessato fin dagli esordi all’iniquità del sistema e del mercato dell’arte, dal 1999 al 2002 intraprende un difficile percorso di azzeramento creativo partecipando e organizzando diversi collettivi atti a sviluppare processi di spersonalizzazione artistica. In seguito, si volge ad una ricerca più ampia e nei suoi lavori compaiono numerosi riferimenti al disagio sociale, alla psichiatria, alla politica, alla libertà d’informazione. Dal 2006, dopo essersi convertito alla fede evangelica la sua ricerca si infittisce di contenuti spirituali e le opere sottendono una indagine sull’analisi dell’invisibile e della cosmizzazione. https://salvatore-manzi.weebly.com/ 

 

Zelinda Delli Angeli

esploratrice e ricercatrice, vive una vita nascosta in un luogo impervio. Indaga spazi inesplorati e organismi inconsueti.

 

 

Claudio Catalano

nato nel 1967 a Adelaide (Australia), negli anni ‘70 si è trasferito in Italia, dove si è laureato in Architettura presso l’Università Federico II di Napoli. A partire dagli anni ’90 si è occupato di progettazione architettonica sia in Italia che all’estero. Lo studio di progettazione da lui fondato – Claudio Catalano & Partners Architects – opera per diffondere il concetto di architettura sostenibile ed è specializzato nella realizzazione di opere finalizzate a creare una perfetta integrazione fra uomo e ambiente. All’attività progettuale affianca la ricerca teorica ed è autore di numerosi articoli e saggi dedicati ai rapporti fra architettura, arte e scienza.

 

 

Stefano Taccone

è nato a Napoli nel 1981. Ha conseguito un dottorato di ricerca in Metodi e metodologie della ricerca archeologica e storico-artistica all’Università di Salerno. Attualmente è docente di Storia dell’arte nella Scuola secondaria di secondo grado. Ha pubblicato le monografie Hans Haacke. Il contesto politico come materiale (Plectica, 2010), La contestazione dell’arte (Phoebus Edizioni, 2013), La radicalità dell’avanguardia (Ombre Corte, 2017), La cooperazione dell’arte (Iod Edizioni, 2020), La critica istituzionale. Il nome e la cosa (Ombre Corte, 2022); le raccolte di racconti Sogniloqui (Iod Edizioni, 2018) e Morfeologie (Iod Edizioni, 2019), il romanzo Sertuccio (Iod Edizioni, 2020) e raccolte di poesie Alienità (Edizioni Divinafollia 2019), Terrestri d’adozione (Edizioni Progetto Cultura, 2021) e Sciogliete le rime (Campanotto Editore, 2023). Ha curato le raccolte di saggi Contro l’infelicità. L’Internazionale Situazionista e la sua attualità (Ombre Corte, 2014) e Religione/arte/rivoluzione, anche (Massari Editore, 2020). Collabora stabilmente con le riviste “Frequenze Poetiche”, “Segno” ed “Opera Viva Magazine”.

 

 

Alfonsina Caterino

è nata e vive in provincia di Caserta. Ha fatto studi filosofici e linguistici. Ha pubblicato sillogi poetiche e poemetti. Scrive racconti e testi di critica letteraria.

 

 

Saverio Maggio

si dedica da sempre alla scrittura di componimenti «poetici» ma predilige una presenza discreta sulla scena.

 

 

Marcello Gallucci

insegna Storia dello Spettacolo all’Accademia di Belle Arti di Roma. Ostinato cercatore di territori di confine del teatro, si è occupato principalmente di Kierkegaard, Artaud, Grotowski. Sua l’edizione completa dei testi messicani di Artaud (Messaggi Rivoluzionari, Jaca Book, Milano 2021). In corso di stampa EleAnora, rêverie su Eleonora Duse e Charlie Chaplin (Jaca Book, Milano 2024).

 

 

Il percorso di questo progetto artistico , che si è sviluppato con diverse modalità a seconda della piattaforma spartecipativa che ha frequentato, può essere seguito in ordine temporale collegandosi al seguente link:https://www.gianfrancodalonzo.net/SpiritualExercises/index.php e sul volume ENTER , rilegato a mano e pubblicato in 50 esemplari da Sabato Angiero Arte, Unità di produzione Edizione https://www.sabatoangieroarte.com/ 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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